CONDIZIONE RAZIONALE & CONSAPEVOLEZZA SPIRITUALE

 

 

L’attuale condizione interiore della maggior parte degli esseri umani è separata, divisa in due blocchi ben distinti che a mala pena riescono ancora a comunicare. Quelle poche volte che ancora ci riescono ecco che a lasciare la sua traccia non è un pallido riflesso privo di significato ma una debole reminescenza di quello che forse un tempo già eravamo; esseri unificati, nettamente più consapevoli grazie all’effetto dato dalla totalità delle nostre parti costitutive. Non siamo nati separati per rimanere intrappolati tutta la vita tra l’impulso dato dalla nostra ragione ed il trasporto verso la nostra dimensione Spirituale. Il dilemma che presuppone una sola scelta netta non esiste, credo piuttosto che ciò che siamo diventati sia la conseguenza di un lento indirizzo culturale, che senza troppi fronzoli abbia voluto plasmarci sull’unico modello duale dell’uomo che deve sentirsi obbligato a scegliere se essere un blocco oppure un altro, all’interno però dell’unico corpo. La società attuale appartiene all’uomo alienato e indebolito, sempre segretamente impaurito di ciò che oramai non riesce più a spiegarsi proprio perché scollegato dalla sua parte più sensibile. Quella più importante tra le altre cose, indispensabile proprio per completare il passaggio che porta oltre la soglia di se stessi. Sul piano indelebile della vera ed unica Sapienza.

 

“Non essere consapevoli vuol dire non esistere” – Marshall McLuhan.

 

Nella concezione Classica del mondo la  filosofia veniva considerata come il prodotto massimo della ragione. Il termine in quanto analogo al pensiero non si esauriva nel rapporto cioè nella comune ragione discorsiva e calcolante ma comprendeva anche il Nous, l’intuito, che era parte della verità che rappresentava il vertice del processo conoscitivo. Ragione in quanto equivalente al pensare, il suo oggetto era l’idea e più esattamente l’idea suprema. Questo doppio significato si conserva e si definisce ancora meglio in Aristotele, il quale pone una più netta distinzione fra la mente, intesa come conoscenza intuitiva della verità e la diάnoia, ovvero la conoscenza discorsiva. Il tutto si poteva anche concepire in momenti successivi e distinti ma sempre strettamente connessi tra di loro. Dunque nella concezione antica del pensiero greco, “l’astratto” intuito non era rilegato al di fuori del contesto della definizione della ragione, come potremmo essere abituati a pensare, ma era parte formante del processo che portava alla verità/comprensione di una qualsiasi cosa. Nel momento in cui si fondono la concezione antica con quella moderna, la ragione come la razionalità all’interno dell’ambito accademico subiscono nei secoli non poche modificazioni. Non tanto nel significato ma quanto nel modo di essere assimilate.

La Razionalità innalzata ad istituzione esistenziale oggi sembra la nostra più grande certezza. O almeno lo è sicuramente per tutti quelli che hanno ereditato come un dogma imperante le conclusioni di grandi pensatori come Galileo Galilei, Newton, Bacone, Locke, Hume, Cartesio, Diderot e D’Alambert. Sono loro i padri fondatori del nostro concetto di Ragione comunemente esercitata. Insieme ed in conseguenza di questo, nasce il metodo scientifico e il criterio di ricerca basato sull’osservazione e l’analisi. Sulla base di ciò che impone il metodo scientifico sappiamo infatti che; sulla materia che si sottopone a differenti condizioni ed esperimenti, seguendo i principi della termodinamica, una qualsiasi cosa esiste, solo se è un fenomeno misurabile o ripetibile. Nel campo prettamente umano, si parla invece della necessità di un riscontro oggettivo e non solo soggettivo per dimostrare l’esistenza certificata di una qualsiasi cosa. La Scienza traccia in un certo senso le sue condizioni e l’empirismo di Epicuro lascia spazio al nuovo e contrapposto metodo cartesiano.

Nel 1700 si aprono le porte allo spirito illuminista per spiegare ogni cosa e ciò che non si riesce a spiegare con il linguaggio e i mezzi degli scienziati, semplicemente non esiste. Ricordiamoci che ci troviamo nell’epoca dei lumi contrapposti alle tenebre precedenti fatte di superstizioni e credenze popolari, dell’età medioevale. Secondo molti dibattiti filosofici del tempo, le regole morali erano basate sulla Razionalità, in contrapposizione con la teoria di Hume che invece credeva che le nostre regole di comportamento fossero guidate dalle nostre emozioni. Già da questo particolare si può notare come la Razionalità fosse inserita in un aspetto fondamentale dello studio delle vicende umane. Ovvero quello legato al modo ordinato di vivere la proprie azioni. Infatti il concetto di ordine viene spesso associato inconsciamente a quello di razionalità, venendone inevitabilmente influenzato quando si parla di vivere quella stessa razionalità dentro la nostra testa. Immanuel Kant a tal proposito diceva; “Il nostro secolo è particolarmente il secolo della ragione alla quale tutto deve sottostare. L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso e l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro”. Quella descritta da Kant è sicuramente una fase di profonda rivalutazione del valore del pensiero umano nei settori più disparati. Un momento culturale di grandissima fioritura. In Campo filosofico si vedrà la nascita di personaggi dallo spessore intellettuale unico, che grazie alla loro impronta personale influenzeranno intere generazioni di altri futuri studiosi e ricercatori. Per non parlare poi delle scoperte scientifiche e dei preziosi traguardi ottenuti dopo anni di intensa ricerca sul campo. Con il seguente scritto non voglio assolutamente sminuire la portata culturale di un’epoca del genere, ma soltanto valutare da un punto di vista diverso l’uso che del concetto di razionalità ne deriva e da cui proviene come un riflesso inevitabile.

 

"L'essere umano ha una tale passione per il sistema e per la deduzione logica, che  è disposto ad alterare la verità per non vedere il vedibile, a non udire l'udibile pur di legittimare la propria logica" . F. Dostoevskij

 

Nonostante alti e bassi dovuti alle varie correnti contrapposte e successive a quella illuminista, tale ciclo riesce comunque a creare un solco indelebile tra un approccio olistico del mondo ed uno più guidato. Ma soprattutto crea un solco dentro l’uomo, riducendolo ad un essere interiormente diviso e totalmente dipendente dal dualismo concettuale. La sua capacità originaria perché naturale, di connettersi con la sapienza del mondo circostante, viene definitivamente atrofizzata da leggi e formule. Se una volta infatti l’essere umano imparava da solo ad apprendere dal mondo che lo circondava, auto regolandosi in modo naturale tra le proprie sensazioni interiori e i contesti esteriori, oggi non deve più faticare in tal senso. Adesso esiste un’istituzione che contenendo ogni orientamento possibile, ti da anche i parametri fissi già pronti per essere seguiti. Il giudizio scientifico Incarna il progresso applicato al concetto di conoscenza, da questo momento storico in poi, la Scienza ufficiale deve essere ascoltata perché ha l’autorità ideologica per farlo. Diventa inevitabilmente un punto di riferimento che scandisce nell’uomo la razionalità necessaria per essere in asse con tutti gli altri.

Per capire come abbiamo trasformato il concetto di ragione esercitata, basterebbe gettare per un solo momento il nostro sguardo verso gli antichi. I primi osservatori, sacerdoti, sciamani, non attingevano da un’unica istituzione per dettare delle leggi equivalenti, che dovevano essere uguali per tutti, ma esploravano dentro loro stessi senza l’ausilio di ulteriori sovrastrutture. Ma la nascita dell’età moderna, del progresso tecnologico porta invece erroneamente a pensare che prima dell’avvento della Scienza nell’apprendimento individuale non esistesse della ratio, come ingrediente utile ad un apprendimento altrettanto concreto. O meglio ci si convince che solo con la gestione attuale si può parlare di ragione, razionalità e prudenza. Ovviamente non è così, e lo dimostrano innumerevoli fonti storiche derivanti da tutte quelle civiltà pre-Cristiane che hanno dettato un certo orientamento base poi ereditato. Allora c’era un perfetto bilanciamento naturale tra l’influenza dell’emisfero Destro legato all’emotività, alla creatività, all’immaginazione, all’intuito e quello dell’emisfero Sinistro legato invece alla Razionalità, alla logica, alla praticità, al calcolo e alla linearità di pensiero. La primordiale libera conoscenza che precedentemente aveva già messo le basi d’orientamento necessarie, grazie all’eredità dell’alchimia e dell’astrologia, viene filtrata dentro un'unica visione regolamentata. Con la Scienza ufficiale nasce il pensiero unico collettivo in termini di vero e falso, esistente o inesistente. Il mago diventerà il medico curatore di oggi e l’alchimista di un tempo, il chimico da laboratorio dei giorni nostri. Avviene una fusione, o se vogliamo un accordo che riadatta la conoscenza ai modelli di traduzione odierni.

Nel passaggio, tantissimo si è guadagnato ma qualcosa non si è mantenuto nella giusta forma originaria. La nostra condizione razionale si è inevitabilmente meccanizzata seguendo questa linea guida. Quell’ordine mentale a cui abbiamo accennato poco fa, ha preso le sembianze di una rigido vincolo che ci mantiene saldamente ancorati all’unico metodo di apprendimento ufficializzato. Continuiamo a pensare che a questo mondo, esista solo quello che può essere sintetizzato in una formula che ne dimostri l’esistenza irrevocabile. Ma in un qualsivoglia sistema riduttivo (utilissimo a schematizzare in un modo più ordinato e quindi più comprensibile ciò che ci circonda) esistono ingredienti che non rientrano nella concezione scientifica ma che sono fondamentali per capire la natura del profondo. Senza questi ingredienti del sensibile, il vero sapere perderebbe tutto il suo valore.

Molti sono gli studi che affrontano l’argomento della sfera materiale/Razionale spesso paragonata o contrapposta a quella metafisica/Spirituale. Differenze accentuate sicuramente da un modo diverso di concepire tale dimensione "dello Spirito" dalle mille definizioni generiche. Forse perché nonostante la dimostrazione scientifica si mostrasse in occidente sempre più centrata nella sua affermazione, lì pronto ad essere svelato c’era un mondo legato ad un potere verso una certa spiritualità inafferrabile, di altrettanta grandezza. Nello studio antico di certe Civiltà e tradizioni, la centralità della razionalità politicizzata svaniva in qualcosa di più potente e grande. Nella graziosa opera di René Guénon intitolata “ Autorità Spirituale e potere temporale” si affronta la divisione concettuale legata appunto al Sacerdotium e regnum, Auctoritas e Potestas. Il potere temporale (esterno e visibile) doveva essere in ogni organizzazione umana degna di tale nome, subordinato all’autorità Spirituale (interiore ed invisibile). Dunque un piccolo indizio di come ogni civiltà anche precedente alla Chiesa e ai papi, strutturasse il proprio ordine verso un potere Spirituale considerato basilare nonché indispensabile per una costruzione solo successiva di una possibile sovranità politica e sociale. La Spiritualità secondo il modo di vivere di molte civiltà del passato era la base d’orientamento per realizzare poi tutto il resto. Attualmente, capire veramente l’essenza di questo messaggio è compito arduo, anche perché la svalutazione della sfera spirituale in favore di un’ eccessiva valorizzazione di quella razionale, è andata rafforzandosi, nonostante un riacceso interesse per esempi di sana Spiritualità rigorosamente pre-Cristiani. Tutti quelli scollegati fin dalla nascita dalle proprie potenzialità meta sensibili personali si perdono spesso nell’utopia di fare della Scienza o del pensiero razionale il centro del proprio mondo. Prelevano inconsapevolmente una razionalità alterata e resa da loro stessi ciò per cui non è mai nata.

 

“Gli agnostici e gli atei sono liberi di tagliarsi un arto ma, con il rifiuto di credere nel trascendente, non possono sbarazzarsi di quegli elementi della psiche la cui normale funzione consiste nell’essere i veicoli dell’aspirazione verso la trascendenza” – M. Lings.

 

La nostra gestione attuale del concetto di razionalità ha accentuato la dualità, separandoci ulteriormente dalla capacità di un tempo di unire noi stessi verso e per la comprensione. Le uniche leggi indispensabili per l’uomo sono quelle naturali, ovvero quelle che hanno generato sia noi stessi che il mondo che ci contiene. Tutto il resto non va nominato e separato ulteriormente ma compenetrato. Era questo il segreto dei primi sapienti Brâhmani e Kshatriya dell'India vedica, stravolgersi nell’intimo per rinascere in viva consapevolezza da accumulare. Il termine più adatto a questa fase fondamentale è “cognizione”. Non ne esiste uno più adeguato per descrivere la totalità che bisognava mettere in atto con la propria volontà. La totale cognizione di Se stessi contiene molteplici elementi che separati dal nostro ordine (ragione) non si esauriscono nel momento ma vengono impiegati per uno scopo più alto e sovrasensibile. Eccoci nella costruzione indelebile della propria conoscenza. Nel Satanismo vige la stessa identica regola di sposalizio tra ragione e spirito, non dunque una divisione netta per mettere addirittura una sfera contro l'altra, come certe correnti contemporanee vogliono farci credere, ma una connessione spontanea tutta da ricostruire e stabilizzare tramite una graduale dose di ordine interiore sempre crescente. Anche perché con le esperienze forti a cui apre il Satanismo pratico delle evocazioni e dei viaggi astrali, dei segni e dei poteri personali, un metodo mentale bilanciato per non perdere la testa serve enormemente, in modo da essere sempre lucidi nel proprio percorso di scoperta. Strutturati e pronti a fare i conti con fenomeni che la scienza ufficiale ancora si sogna o che non ha ancora nessun interesse nel far venir fuori come realtà concrete e vere. Un praticante vedrà invece attraverso se stesso situazioni che gli dilateranno inevitabilmente l’orizzonte ben oltre i risultati della scienza ufficiale ma perfettamente in linea con i parametri di quell’istituzione molto più grande e antica chiamata Scienza NATURALE.

 

La massima virtù della nostra consapevolezza è la ragione resa spirituale

 

Quello che noi oggi denominiamo come Spiritualità non è altro che la sintesi perfetta di questa divina esperienza soggettiva. Ridurla a vacuità, perché ci si vuole forzatamente rifare all’unico cattivo esempio abramitico o sminuirla perché non totalmente traducibile dentro degli strumenti di misurazione moderni, significa rinnegare una condizione fondamentale del nostro patrimonio ancestrale, che esiste da sempre. La Spiritualità è una dimensione di senso profondo che contiene le coordinate di quello che l’uomo deve assimilare per rendere soddisfacente la propria esistenza. Per dare uno scopo alla propria sensibilità interiore bisogna farla passare dal proprio intuito Spirituale, filtrarla attraverso la nostra razionalità intuitiva e legittimarla con l’esperienza alla conoscenza.

Secondo la mia attuale esperienza, è quella che noi oggi chiamiamo Spiritualità a contenere ogni forma di condizione intellettuale e non viceversa. La vera Consapevolezza intellettuale è sempre frutto di una matrice Spirituale, dopo abbiamo dell’ordine razionale che regoliamo e che nel suo ruolo è indispensabile per orientarci. Ma si parla sempre di un raziocinio aperto e mai chiuso su se stesso. La giusta collocazione dei fattori riporta nella giusta direzione. Un’invertita collocazione dovuta ad una viziata interpretazione della razionalità concepita, porta ad un ulteriore allontanamento. A quel punto, il ricordo di una parte fondamentale di noi stessi diventa mera leggenda e l’intera storia umana, una serie di date e nomi ben allineati.

 

 

Mandy Lord

Anno MMXIV

 

 

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