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GLI YEZIDI E L'ANGELO PAVONE

 

 

Vestono tutti i colori eccetto il blu, temono fortemente la lattuga, si sposano solo tra di loro e hanno fama di essere il popolo più pacifico del mondo: sono gli Yezidi, la minoranza etnica che non parla con nessuno, ma che continua da un bel pezzo a far parlare tutti quanti.

Dal quattordicesimo secolo in poi furono perseguitati in continuazione, prima dai Persiani, poi dai Turchi Ottomani, infine dai Mussulmani – i quali non hanno mai smesso, e continuano ancora oggi a tentare di sterminare questo popolo. Il motivo di tanto zelo distruttivo è sostanzialmente sempre uno solo: da secoli è stata, ed è tuttora, opinione comune che gli Yezidi siano 'adoratori del demonio'. Parallelamente all'astio degli islamici, tale idea ha attirato anche le simpatie dei Satanisti, creando ai giorni nostri una sorta di mitizzazione dello Yazidismo e della sua figura divina di riferimento, il Pavone Melekh Ta'Us. Ammetto di essermi accostata allo studio di questo popolo per la stessa ragione, desiderosa di scoprire verità Sataniche nascoste tra le piume del Pavone. Tuttavia, già in una fase iniziale di generale osservazione dello Yazidismo, ho subito riscontrato la massiccia presenza di elementi islamici, cristiani e zoroastriani che in prima analisi ho classificato come possibili 'contaminazioni successive' ad un'origine che doveva essere stata distorta gravemente dal battere del tempo e delle spade, e che doveva essere senz'altro possibile riportare in luce.

Con un certo stupore mi sono resa conto che invece questa Origine comune alla stessa nostra, dei nostri Avi e dei nostri stessi Dei, questa volta non si sarebbe mai potuta recuperare, per il semplice fatto che probabilmente in questo caso l'Origine comune non sussiste. Procediamo ora con ordine, contestualizzando brevemente la posizione geografica e il quadro storico: Mossul, che era il centro dello Yazidismo ai tempi delle prime persecuzioni, si trova sulle sponde del fiume Tigri, in prossimità dei rilievi montuosi dell'attuale Kurdistan. Lalish, che è il centro attuale, si trova a soli 60 km da Mossul, nella regione settentrionale dell'attuale Iraq. FOTO CARTINA 1


Come si può vedere dalla cartina, il Kurdistan (e in particolare l'area di Mosul) risulta circondato da popoli diversi, andando a collocarsi proprio sul punto d'intersezione tra:

 

-Religioni Iraniche (Persia, l'attuale Iran)

-Islam (Iraq, Turchia, Siria)

-Ebraismo (Israele, Giordania)

-Drusi e sette musulmane (Libano e aree limitrofe)

-ciò che restava dello splendore Assiro (area della Mezzaluna Fertile)

-elementi frammentari della cultura Induista (aree ad est)



Di tutte queste, come avremo agio di vedere nel corso di questa breve analisi, le culture che hanno influenzato in modo più evidente la teogonia, la mitologia e la tradizione Yezida sono indubbiamente le religioni Iraniche e l'Islam. Degli Antichi Assiri gli Yezidi non hanno conservato quasi nulla, a parte qualche tratto somatico ereditato da una parte del loro gruppo etnico, e l'abitudine a celebrare la festività del capodanno. Per il resto non vi è alcun elemento riconducibile a questo antico culto che sia sopravvissuto in seno alla comunità Yezida.L'unico elemento riconoscibile sopravvissuto dalla cultura Induista è la metempsicosi; vi è inoltre il nome di uno degli Amesha Spenta che è presente anche nei Rig-Veda, ma questo fatto non è qui realmente degno di nota in quanto le corrispondenze nominali con divinità induiste si sono già riscontrate anche in alcune forme più recenti di zoroastrismo (basti pensare allo stesso Mitra, del quale solo e soltanto il nome ha viaggiato dall'India fino in Persia), ed è ormai un fatto acclarato che lo Zoroastrismo ha influenzato lo Yazidismo in modo sostanziale.

[A voler essere proprio puntigliosi, esiste una correlazione tra Induismo e origine dello Zoroastrismo che meriterebbe di essere approfondita; tuttavia rimanderò questa analisi ad altro contesto, perché eseguirla qui sarebbe non pertinente al tema dello Yazidismo, in quanto lo Zoroastrismo confluito nella religione Yezida appare già successivo e deprivato delle connotazioni Induiste.]

Dalle antiche sette musulmane (come gli Ismaeliti e i Drusi) gli Yezidi hanno ereditato il divieto di cibarsi di carne di maiale, il permesso di bere vino, l'iconografia del Pavone come rappresentazione dell'oppositore a dio, l'apertura al sacerdozio femminile e la partecipazione libera delle donne della comunità a tutte le funzioni religiose. Volendo dunque fare un tentativo di datare l'inizio dello Yazidismo sulla base delle influenze (o per meglio dire, delle confluenze) che lo hanno costituito, dal fronte islamico abbiamo questa timeline:


-Islam, VII sec. e.v (ad opera di Maometto)
-Islam Sciita, seconda metà del VII sec. e.v. (ad opera di Ali Abi Talib)
-Ismailismo, seconda metà del VIII sec. e.v. (ad opera di Ismail Abi Jafar)
-Drusi, inizio del IX sec. e.v. (ad opera di Al Darazi)



Che cosa c'era nella penisola Araba prima dell'Islam? Questo argomento merita di essere trattato in modo più ampio e diffuso, ma qui per non dilungarmi mi limiterò a dire che, dove ancora non avevano attecchito le infestazioni ebraiche, vigevano sistemi religiosi tribali, poco intrusivi nella morale comune e caratterizzati da forme di politeismo. FOTO CARTINA 2

Che cosa c'era nelle aree degli odierni Turkmenistan, Iraq, Siria prima dell'Islam? C'era… la Persia. In quelle terre da sempre abitate da politeisti e comunità tribali, prosperarono i Babilonesi, poi i Medi e infine i Persiani, che si configurarono tendenzialmente dualisti-monoteisti nel VII sec. a.e.v in seguito alla diffusione dello Zoroastrismo (e che poi confluirono nella religione Islamica dopo il VII sec. e.v.). La massiccia diffusione dello Zoroastrismo è senz'altro dovuta al fatto che gli imperatori persiani Ciro, Dario, Serse e Artaserse erano tutti Zoroastriani, e ciò è testimoniato in modo inconfutabile dal rituale di sepoltura che li accomuna tutti. Di questo avremo agio di parlare più diffusamente in altra sede, durante un'analisi più specificatamente incentrata sullo Zoroastrismo. Dal fronte Zoroastriano la timeline è questa:


-Zarathustra, presumibilmente XVIII sec. a.e.v
-Inizio effettivo della diffusione dello Zoroastrismo VI sec. a.e.v.
-nel frattempo avvento dell'Islam VII sec. e.v.
-fine massima diffusione dello Zoroastrismo X sec. e.v

 

Turchi e Iranici si riferiscono agli Yezidi chiamandoli Seytan-perest e Cyragsonduren: quest'ultima parola significa letteralmente 'spegnitori di lampade' e sottintende che gli Yezidi siano dediti a rituali orgiastici, durante i quali ad un certo punto si necessiterebbe del buio totale per permettere a chiunque di accoppiarsi con chiunque, senza doversi preoccupare di legami pregressi o di eventuali contatti incestuosi. Tuttavia non vi sono prove che gli Yezidi pratichino tali usanze, anzi pare assai probabile che si tratti di un'attribuzione erronea proveniente da una cronaca redatta dopo il 1200 e.v dallo scrittore siriaco Barhebreo, circa i Barburiani (una setta derivata dai Manichei che fu espulsa dal territorio persiano e successivamente si stabilì, appunto, in Siria). Attualmente, ho sentito dire più di una volta che la definizione 'spegnitori di lampade' attribuita agli Yezidi sia dovuta ad un presunto atteggiamento libertario degli adulti nei confronti degli adolescenti, che spegnendo le luci consentirebbero tacitamente l'esercizio delle funzioni sessuali tra i giovani innamorati e non ancora maritati: questa tesi, pur incontrando il favore di molti Satanisti in qualità di fulgido esempio di libertà e di incoraggiamento all'autodeterminazione, non ha comunque alcuna prova a sostegno – anzi è ancora meno plausibile rispetto alla teoria precedente, dal momento che in quel caso è almeno documentato che un popolo limitrofo aveva effettivamente tale pratica tra le proprie tradizioni.

I Siriani li chiamano Dawasin, o Dasnaye, che significa,nella loro lingua, semplicemente 'originari della provincia ad est di Mossul'. Lo storico, teologo e assiriologo A. Mingani ha lungamente sostenuto che il nome Dasnaye sottintendesse un'origine comune tra Yezidi e seguaci di Bardesane di Edessa, conosciuti con il nome di Daysanaye; tuttavia questa tesi è stata successivamente smentita dal lavoro del Furlani (storico, assiriologo e filologo orientale). Ancora una volta la possibilità di attribuire agli Yezidi un'origine diversa dalla mera confluenza di altre culture, sfuma inesorabilmente. Gli Islamici li chiamano Yazidiyyah, che in arabo significa 'la setta yezidica'. In lingua Araba Yazid è un nome di persona molto comune: è opinione diffusissima che il primo fondatore della setta Yezida si chiamasse appunto Yazid. Alcuni individuano quello Yazid nel califfo Yazid Ibn Abi Sufyan, ma questo dato non è certo e non vi sono fonti che possano confermarne la veridicità. Altri individuano lo Yazid capostipite in Yazid Ibn Unaysah: a tal proposito, il filosofo, teologo e storico persiano As Sahrastani parla diffusamente, all'inizio dell'XI sec. e.v., di un tale Yazid Ibn Unaysah che nel corso del VII sec. e.v (dunque nel corso del primo secolo dopo la fondazione dell'Islam) andava attorno a dire di essere un apostolo mandato da dio in terra di Persia, a cui dio in persona avrebbe trasmesso il libro sacro che già era scritto nel cielo, e che glielo avrebbe dettato tutto in una sola stesura, e che si distaccò dalla religione di Maometto pur riconoscendolo come profeta. Ciò che rende questa teoria di Sahrastani più attendibile della altre è che effettivamente nella Jilwah, che è il testo sacro Yezida, appare chiaramente espressa la questione della rivelazione del libro avvenuta in una sola volta,  e anche il fatto che l'insieme delle caratteristiche del culto Yezida nonché la sua contestualizzazione storica e geografica fanno presupporre che la sua origine possa essere effettivamente dovuta ad una sorta di 'eresia islamica'.

Gli Yezidi stessi dicono di chiamarsi Yezidi perché in Persiano Yazdan significa dio, e anche questo elemento va a sommarsi all'insieme delle caratteristiche del culto Yezida nonché la sua contestualizzazione storica e geografica, dando ampiamente agio di credere che la radice sia da ricercarsi, almeno in gran parte, nello Zoroastrismo. A sostegno di questa ipotesi cito anche la città persiana di Yazd, che tuttora ospita comunità zoroastriane sopravvissute alle persecuzioni e all'avanzare dei tempi. In qualsiasi direzione si vada a scavare, dunque, non si giunge ad alcuna traccia che riconduca lo Yazidismo al Culto delle Origini. Prima dello Zoroastrismo e prima dell'Islam, in quelle terre c'erano i culti tribali e il paganesimo, esattamente come a casa nostra c'erano da sempre le tradizioni Pagane, e ci sono state fino all'imposizione del monoteismo.  La liaison tra questi accadimenti tanto geograficamente distanti pare essere la costante Zoroastrismo, che spunta fuori in più di un'occasione mescolandosi più e più volte al monoteismo ebraico e islamico: Zoroastriani erano i Re Magi di cui si parla già nelle scritture ebraiche, Zoroastriani gli imperatori persiani Ciro, Dario, Serse e Artaserse, e come l'Impero Romano espandendosi venne in contatto con l'espansione persiana, Zoroastriani erano i Cilici che giunsero in Italia nel primo secolo dell'era volgare, ivi diffondendo la base su cui attecchì agevolmente l'eresia ebraica del cristianesimo. Analogamente sulla medesima base attecchì, in terra di Persia, l'eresia islamica del loro primo secolo, innescata dallo stesso Zoroastrismo, e sullo stesso Zoroastrismo innestata. Alla luce di tutto questo gli Yezidi appaiono non come il retaggio degli antichi Culti presenti in quelle terre, ma piuttosto come il prodotto delle culture Iraniche e Islamiche che in quel preciso punto si sono andate a fondere creando una strana chimera: possiamo dunque affermare che lo Yazidismo originale altro non è che una forma di Zoroastrismo filtrato dall'Islam, e che non vi è nessun altro ''Yazidismo puro'' antecedente a questa fusione. A questo punto non resta che esaminarne nel dettaglio la struttura e le usanze, poi successivamente mettersi sulle tracce del vero Pavone, seguendolo ovunque ci vorrà portare.


STRUTTURA TEOLOGICA E RADICI IRANICHE


La lingua degli Yezidi, cioè il Curdo, è tuttora molto simile alla lingua Persiana. Come detto sopra, gli stessi Yezidi si definiscono Yezidi o Izidi: questa parola in seno alle religioni di matrice persiana indica un gruppo preciso di entità semi divine (Yazada nell'Avesta Zoroastriano, Ized presso i Parsi) e significa 'esseri degni di adorazione'.  Nello Zoroastrismo il capo degli Ized terrestri è Zarahtustra, il capo degli Ized celesti è il figlio di Ahura Mazda, che qui è conosciuto come Adar ed è l'alleato dell'uomo contro i demoni e i poteri dei fattucchieri. L'elemento sacro di Adar è il fuoco. Tutti gli Ized insieme hanno il compito di proteggere il fuoco, gli astri, il sole e la luna, e fungono da tramite tra gli uomini e la divinità. Essi fanno rapporto ai sette arcangeli detti Amesha Spenta, il primo dei quali è Vohu Manah, che presso i Persiani è raffigurato in forma di Gallo. Ahura Mazda è considerato l'unico dio, tuttavia al suo fianco appare la figura dell'oppositore Angra Mainyu; ai sette Amesha Spenta di Ahura Mazda, fanno da contraltare i sette Amesha spenta di Angra Mainyu.

Gli Yezidi hanno mantenuto il medesimo schema: rispetto alla religione persiana troviamo un dio meno attivamente coinvolto e più incline a delegare il proprio compito ad altre entità,  tuttavia ancora presente e senz'altro impegnato nell'eterna lotta con l'Oppositore. Restano invariati nelle descrizioni, nei significati e nelle funzioni i sette Amesha Spenta di Ahura Mazda, seppure rinominati con nomi ebraici:


Azrail = il Buon Pensiero
Dardail =  l'Ottima Legge
Israfil =  il Dominio Desiderabile
Mikail = la Pietà
Gibrail = l'Integrità
Shimnail = l'Immortalità
Nurail = l’Obbedienza

 

dei quali Azrail, meglio conosciuto con il suo appellativo in lingua curda Melekh Ta'Us, corrisponde all'arcangelo-gallo Vohu Manah, e anche al suo corrispettivo demoniaco Aka Manah: non è da sottovalutare a tal proposito che l'usuale rappresentazione di Melekh Ta'Us in forma di Pavone non sia sempre identica, e che si possa ravvisare in alcune raffigurazioni, di quando in quando, una spiccata somiglianza col Gallo. Nessuna traccia di politeismo dunque, né in seno allo Zoroastrismo, né in seno allo Yazidismo, e in entrambi i casi è posta particolare cura nel rimarcare come l'unico dio sia solo e soltanto uno, mentre tutte le altre creature non siano divinità. In entrambi i casi il monoteismo è di stampo dualistico bene\male: nessun equilibrio di creazione e distruzione, nessun equilibrio tra maschile e femminile, e nessuna Madre. La traccia comune ai Culti Politeisti è totalmente assente. Anche nel motivare come il loro dio abbia in un certo senso rinunciato a regnare, permettendo loro di tributare una venerazione sconfinata per quei sette principali esseri angelici, gli Yezidi seguitano a definire la propria religione come un monoteismo. Così come i loro predecessori, oltre ai Melekh, gli Yezidi adorano innumerevoli altri sottordini angelici, allo stesso modo sempre ugualmente sottoposti ai primi sette arcangeli immortali, hanno una demonologia piuttosto estesa e temono fortemente gli esseri demoniaci. Anche l'elemento fuoco è rimasto sacro, e il nome di Adar riecheggia in quello del santo profeta Adi.

Nella foto a destra possiamo vedere un Sangaq: questo stendardo metallico rappresenta Melekh Ta'Us e – a differenza delle raffigurazioni pittoriche – in questi manufatti è frequente ravvisare molta somiglianza con il Gallo di Vohu Manah.

 

LA RIFORMA DI ADI


Lo Yazidismo moderno inizia ufficialmente nel 1162 e.v, quando (si dice che) Adi Ibn Mustafa riformò la religione Yezida. E' per questo motivo che nell'attuale Yazidismo possiamo ravvisare ben fissati ed enunciati molti elementi importati da culture e religioni successive al settimo secolo. Gli Yezidi sostengono che il loro (presunto) fondatore Yazid sia stata la prima incarnazione di Melekh Ta'Us, poi che egli sia successivamente ritornato sulla Terra incarnandosi in Adi, allo scopo di moralizzare il popolo, gerarchizzare l'organizzazione religiosa e ridefinire la dottrina. Sostengono che tornerà ancora.


RADICI ISLAMICHE ED EBRAICHE NELLA GENESI


La questione di Eva e del Serpente è una costante di tutte le genesi di tutti i monoteismi. Nella prima versione ebraica appare un satan-serpente stranamente dotato di arti e in grado di stazionare in posizione eretta, che in prima persona interagisce con Eva. Successivamente la cosa viene elaborata in modo più articolato, e a fianco del serpente appare la figura di un satan che non è più il serpente stesso, ma che si avvale del serpente per avvicinarsi ad Eva: qui vediamo il serpente appendersi al muro di cinta che delimita gli accessi al paradiso (risultando, come vedremo più sotto, posizionato più o meno come quello nero che si trova scolpito a lato dell'ingresso del santuario di Lalish), e intavolare una conversazione con Eva, per dare il tempo a Satan di sporgersi dal muro di cinta intonando canti soavi. A tal proposito nel Libro di Giobbe (che non è solo nella Bibbia, ma anche nel Tanakh ebraico) si parla di Samael come di una creatura alata 'che vola come un uccello per l'aria'. Sulla questione mela invece c'è un po' di confusione, perché il frutto è definito ora il pomo del paradiso, ora il fico, ora il frumento.

Il frumento, per quanto possa sembrare strano, è semanticamente il più sensato perché in ebraico crea un gioco di parole basato sulla somiglianza tra hittah (appunto il frumento) e hatta-ah (il peccato). Questo fatto del frumento passa nella genesi secondo i Drusi, e da lì si tramanda alla genesi secondo gli Yezidi: qui è anche Adamo che mangia il frutto proibito, che in alcune versioni si dice fosse uva, e in altre, appunto, il frumento, la cui ingestione gli fa istantaneamente gonfiare la pancia, rendendo evidente il misfatto compiuto. Come nella leggenda Drusa, anche per gli Yezidi il seduttore è dichiaratamente Iblis, vale a dire il Satan, l'antagonista di dio, che va a traviare Adamo ed Eva sotto forma di Pavone. Il Pavone non è un'iniziativa dei Drusi, ma proviene dalla leggenda che i mussulmani tesserono attorno alla prima versione della Genesi islamica, secondo cui Iblis ebbe problemi ad accedere al paradiso perché il portinaio Ridwan faceva troppo buona guardia. Allora Iblis chiese aiuto agli animali del paradiso, interpellando anche il pavone, il quale però non volle aiutare. Il serpente allora spalancò la bocca e prese Iblis tra i denti per portarlo dentro (e qui allibisco, perché riconosco echi centro africani, e ancora una volta prendo atto che il vizio di appropriarsi indebitamente delle altrui cosmogonie, riducendole a chiacchiere, è pratica tristemente comune) e alla fine di tutto vengono tutti scacciati e puniti, compreso, chissà perché, anche il timido e prudente pavone. Il motivo per cui il ritroso pavone dell'Islam sia stato scagliato dal cielo (sopra Kabul, per l'esattezza) temo resterà un mistero, ma se non altro appare chiaro da dove sia arrivato questo animale nella Genesi Drusa.


LA LATTUGA E ALTRI INTERDETTI


Secondo gli Yezidi, quando dio scoprì l'ingestione del frutto proibito, il Pavone tentò di farla franca nascondendosi tra le lattughe, e per poco non ci riuscì: a tradirlo fu la sua coda, troppo grande, lunga e sgargiante per potersi nascondere completamente tra le foglie basse. Per questo Iddio lo vide e lo punì, e allora il Pavone si risentì verso la lattuga e la maledisse. Questa è la ragione per cui ancora oggi gli Yezidi si rifiutano di ingerire lattuga. Gli altri interdetti sono tutti acquisizioni dall'ebraismo o dall'islam, come ad esempio il divieto di mangiare maiale o la proibizione di entrare negli edifici di culto con le scarpe. Allo stesso modo dei mussulmani danno molto peso alle abluzioni rituali, e sono tenuti, ovunque essi vivano, a fare almeno un pellegrinaggio fino a Lalish nel corso della loro vita, allo stesso modo in cui gli islamici devono compiere il pellegrinaggio alla Mecca.  Tra l'altro non pronunciano mai nessuna parola il cui significato riconduca a Satana, e neppure nessuna parola dal significato diverso ma che possa avere un suono simile ai vocaboli relativi a Satana (ad esempio il termine satt, che significa fiume, non si può pronunciare perché somiglia già troppo a Shaytan). Infine, non tollerano che si indossi il colore blu: alcuni sostengono che sia una forma di rispetto per Melekh Ta'Us, come se si ritenessero indegni di vestire il colore principale del loro patrono; tuttavia questa motivazione non è supportata da dati accertati.

 

IL NOME DI MELEKH TA'US


Melek è il suono che si produce sia in persiano che in curdo, pronunciando entrambe le parole malik e malak. Malik sta per re, malak sta per angelo. Tutti gli arcangeli, gli angeli e i sottordini angelici ricevono dagli Yezidi il titolo di Melekh. In arabo la parola Malik significa re, e questo titolo viene attribuito al diavolo nella XLIII sura del Corano. Essendo il diavolo identificato in Iblis nella genesi islamica, e parimenti identificato in un uccello nella genesi ebraica, appare scontato da dove possa essere uscito il pavone della genesi drusa, che poi gli Yezidi hanno adottato come versione definitiva: nella lingua dei Drusi il seduttore piumato si chiama Tayuh, da cui Ta'Us che in lingua curda significa, appunto, ''pavone''.


LA COSMOGONIA YEZIDA E IL PRIMO ANGELO CADUTO


In principio il mondo era oceano, e in mezzo all'oceano vi era un solo albero sopra il quale Iddio stava appollaiato in forma di uccello. Molto distante dall'albero su cui stazionava Iddio, vi era un roseto fiorito, e sul roseto stava la prima creatura di dio, il saggio Sheikh Sinn. Dal proprio splendore Dio creò l'Arcangelo Gabriele e dapprima fece anch'egli in forma di uccello. Quando l'ebbe creato gli domandò:


Chi sono io e chi sei tu?
Gabriele rispose pianamente: Tu sei tu, e io sono io.


Dio si offese moltissimo perché ravvisò orgoglio nella risposta di Gabriele, che così dicendo aveva dato prova di credere che sia egli stesso che Iddio fossero creature parimenti importanti: ecco il peccato di orgoglio, dell'angelo che volle innalzarsi al pari di Dio! Fu così che Dio scacciò l'angelo a colpi di becco, costringendolo ad errare senza posa per secoli e secoli, fino a che dopo tanto volare, trovò il roseto su cui stava il saggio Sheikh Sinn: allora gli raccontò l'accaduto e subito ricevette in cambio un buon consiglio, in seguito al quale decise di riprendere immediatamente a volare per tornare indietro da dove era venuto. Quando fu di nuovo sull'albero, Iddio gli rivolse la stessa domanda, e questa volta Gabriele rispose con umiltà, secondo il consiglio dello Sheikh Sinn: così fu che Dio perdonò Gabriele, e il peccato fu cancellato. 
Siete perplessi? Bene, anche io. Anzitutto, qui abbiamo una cosmogonia tragicamente lacunosa e semplificata che attinge elementi sparsi da antichi Culti africani; abbiamo poi un saggio Sheikh senza ragione apparente, e un roseto (?) senza ragione di esistere, nonché un dio in forma di uccello, che tutti insieme ci rimandano ad alberi della vita, mari primordiali, diluvi universali e alberi del post diluvio che abbiamo già incontrato più volte in più di una occasione. E come se ciò non bastasse, ecco la prima versione Yezida del Lucifero che volle innalzarsi al pari di Dio, che in questo caso vede Gabriele, e non Melekh Ta'Us, come protagonista della vicenda. Significa forse che Melekh Ta'Us non si sia mai dovuto pentire di nulla? Nossignori. Parallelamente, la stessa dinamica succederà anche al Pavone.


IL MESSIA MELEKH TA'US E IL PECCATO


Anche Melekh Ta'Us , come Gabriele, ha peccato di orgoglio: si è rifiutato di pregare per Adamo e di onorarlo, al pari di Iblis secondo i Mussulmani. Pare che Melekh Ta'Us non abbia voluto obbedire al comando di Dio di pregare per Adamo, perché precedentemente Dio aveva detto a tutti i Melekh che avrebbero dovuto pregare solo per Dio, dunque in un certo senso disubbidì per eccesso di zelo nel portare obbedienza. Per questo motivo Dio lo scacciò, eppure allo stesso tempo, per la stessa ragione lo ritenne degno di rispetto: tra tutti i Melekh, soltanto uno aveva avuto l'ardire di pensare fuori dal coro, dunque per quanto fosse ovvio adirarsi e necessario punirlo, era altrettanto naturale stimarlo. Si dice che in seguito alla cacciata, Melekh Ta'Us pianse tantissime lacrime, così tante che esse allagarono l'inferno spegnendone tutte le fiamme. E quando Melekh Ta'Us tornò da Dio per scusarsi, egli l'assolse, cancellando il suo peccato e restituendogli il ruolo di Arcangelo. Oltre a questo, avendo Dio maturato appunto una forte stima per lui, e sentendosi stanco di governare attivamente il mondo terreno, decise di dargli l'incarico di occuparsi degli esseri umani in sua vece.

La corrispondenza con l'Iblis islamico inquadra inevitabilmente Melekh Ta'Us nel ruolo di diavolo, l'epica della cacciata lo assimila inequivocabilmente al concetto popolare cristiano di Lucifero, e l'epilogo che vede l'Arcangelo assegnato alle faccende terrestri lo colloca, in un certo senso, nel ruolo di principe di questo mondo. Tuttavia, Melekh Ta'Us non ha alcun tratto caratteriale dannoso o malefico tipico del diavolo, o del Lucifero nell'iconografia religiosa: al contrario, persino nella sua ribellione mostra sottomissione al suo Dio, pretendendo di non contravvenire al primo ordine che gli era stato impartito, e successivamente annulla l'inferno e infine si pente, ottenendo il perdono, cancellando il peccato e conseguentemente dando inizio ad un nuovo ordinamento in cui il dio padre si fa da parte, consegnando la terra al suo successore. Se Melekh Ta'Us fosse diavolo, dovremmo aspettarci, casomai, un passaggio di consegne da parte di Angra Mayniu, e non da Ahura Mazda, ed essendo invece Ahura Mazda a delegare, sarebbe più logico aspettarsi che delegasse in favore di Adar. Invece no, è Melekh Ta'Us, pur non essendo un dio, colui che eredita la terra, colui che fa le veci di dio padre, colui che vince sull'inferno, che distrugge il male, che cancella il peccato: Melekh Ta'Us è, definitivamente, il Cristo degli Yezidi. Egli è il loro tramite per raggiungere Dio, colui che con la sua azione li ha preservati per sempre dalla dannazione, ed è il Profeta incarnato in Yezid e in Adi, che tornerà ancora e ancora fino a quando tornerà nella Fine dei Tempi. Melekh Ta'Us ha sancito, idealmente, per questo popolo, l'inizio del nuovo corso, del nuovo testamento, e da quando il suo pianto ha spento le fiamme eterne il male è defunto per sempre: gli Yezidi dicono che oggi il peccato è soltanto quella cosa che causa il male, e il male è l'insieme di tutte le cose che risultano sgradite all'essere umano.


I FIGLI DI ADAMO:

Questo fatto accadde dopo che Adamo fu scacciato dal paradiso per il fatto del frumento. Stabilitisi sulla Terra, Adamo ed Eva ebbero figli, e un giorno discussero al riguardo perché Eva sosteneva strenuamente che i figli fossero un proprio merito, dal momento che li aveva dati alla luce, mentre Adamo dal canto suo insisteva che il merito spettasse a lui solo. Per provare la propria teoria, Adamo prese due giare e ne diede una ad Eva: entrambi depositarono il proprio seme (ok, questo è strano) all'interno della propria giara, e poi le seppellirono vicine sotto al letame. Dopo nove mesi andarono ad aprire le giare: quella di Eva non aveva dato alcun frutto, se non un mucchio di vermi e di insetti, mentre dentro a quella di Adamo vi era un bambino di rara bellezza. Adamo mise nome a suo figlio Sahid Ibn Garrah, e quando fu cresciuto abbastanza, Adamo interpellò Gabriele perché andasse da Dio e gli dicesse che c'era bisogno di trovargli una sposa. Allora Dio inviò sulla terra una delle Hur del paradiso, e dall'unione di Sahid con la Hur nacque la stirpe degli Yezidi.


I FIGLI DI ADI E LA STRUTTURA ECCLESIASTICA:

Si tramanda che Adi ebbe quattro fratelli, tre dei quali presero moglie ed ebbero figli. Il quarto restò celibe e per questo non generò discendenza, così Adi creò un figlio per lui: dalla discendenza di questo, proviene la prima casta sacerdotale Yezida. Dagli altri fratelli discendono le altre caste; infine l'ultima casta discende direttamente da Sheikh Sinn (quello del roseto), che non avendo moglie si creò un figlio da sé.  Le caste sono cinque in tutto, e tutti i Sacerdoti appartenenti ad ognuna di queste caste sono denominati Sheikh. Chiunque si ritrovi attribuito ad una di queste cinque discendenze ha l'espresso divieto di contrarre matrimonio in seno alla propria stessa casta, ma deve per forza unirsi ad un altro Yezida di una casta diversa.


Vescovi - Il compito degli Sheikh è quello di amministrare un certo numero di famiglie in un certo distretto, allo stesso modo in cui i vescovi hanno in cura le diocesi, ed anche esortare i parrocchiani a comportarsi in modo conforme, in particolare insistendo sulla necessità che nessuno Yezida insidi sessualmente le mogli e le figlie dei capi spirituali, e che nessuno Yezida si congiunga carnalmente con persone di diverse etnie o religioni.

Preti - Dopo gli Sheikh vengono i Pir: questa parola è persiana e significa Anziani e rispondono direttamente agli Sheikh, esattamente come i preti rispondono ai vescovi. Svolgono le stesse mansioni degli Sheikh, ma subordinati a questi ultimi. Cosa curiosa, questo preciso ruolo e la stessa posizione gerarchica nell'Islam è detta Sheikh.

Monaci – Inferiori in grado rispetto ai Pir, i Faqir sono l'equivalente dei frati.  Faqir è una parola araba che significa 'asceta' o 'povero', e infatti gli appartenenti a questo ordine monastico vivono in modo frugale. Il capo di tutti i Faqir è il Kak: egli vive nella casa che si dice che fu di Yazid, e in certe feste solenni ha la precedenza su tutti gli altri capi Yezidi, sia religiosi che politici.
Al momento di prendere i voti, i Faqir sono tenuti ad un periodo di clausura e digiuni particolarmente severo, al termine del quale ricevono una veste bianca e nera che si dice sia alla guisa di come andava vestito Adi. Per tutta la vita devono aver cura di non sedersi mai sopra la veste, poiché essa è considerata sacra.

Suore – Le monache sono dette Faqirayah, e la loro madre superiora è detta Kabana. La Kabana, tuttavia, non gode della stessa importanza del Kak.

Diaconi - Dopo i Faqir vengono i qawwal: essi sono cantori e hanno il compito di portare gli emblemi del pavone. Non fanno parte di alcun ordine sacerdotale, in un certo senso potrebbero essere assimilati ai diaconi.

Sagrestani - Inferiori ai Qawwal seppure ordinati, i Sawis sono i 'sagrestani' del tempio: vivono in celibato e vestono solo di bianco, non possono lasciare il tempio e la loro unica fonte di sostentamento sono le elemosine. Al santuario di Adi risiede un solo Sawis, che è detto Farras.

Parrocchiani volontari - Gli ultimi della gerarchia sono i Kocaq: essi sono volontari non appartenenti ad alcun ordine monastico o sacerdotale, prestano manodopera attiva per i lavori nei santuari per periodi limitati di tempo, e non ricevono alcun compenso.

Sopra tutti gli ordini sacerdotali sta lo Sheikh Nasir, che ha caratteri di infallibilità simili a quelli che la chiesa attribuisce al Papa. Tuttavia non è il Nasir la massima autorità, ma l'Emiro, detto Amir Al Hagg che significa 'il principe del pellegrinaggio'. L'Emiro ha sia autorità spirituale che politica, e ha poteri illimitati: gli Yezidi considerano sacra la sua intera persona e qualsiasi oggetto in suo possesso, al punto che neppure i suoi abiti possono essere toccati da qualcuno che sia meno di un Kocaq, né l'acqua in cui sono stati lavati può essere versata nelle fognature.

 

IL CENTRO DEL CULTO:

Il principale e più importante santuario Yezida si trova nella valle di Lalish, incastonato ai piedi delle montagne. La struttura è composta di svariate sale e cortili: la prima corte è situata prima dell'unica porta d'ingresso e presenta una grande vasca incastonata nel pavimento, che è costantemente alimentata dallo scorrere naturale di un ruscello e serve ai fedeli per eseguire le abluzioni  purificatorie. La facciata è stata ricostruita e restaurata più volte, al giorno d'oggi si presenta decorata con innumerevoli figure piuttosto casuali, tra cui anche anelli, mani, bastoni crociati, bestie, mani e pugnali: gli Yezidi dicono che queste figure non hanno significato religioso, ma che sono prevalentemente frutto della fantasia degli scalpellini che vollero in qualche modo firmare il proprio lavoro, o fissare nei secoli dei segni che rimandassero a chi aveva contribuito economicamente ai lavori. L'unica figura che tra tutte si trova sulla facciata per una ragione legata alla religione è un serpente, scolpito in verticale al lato della porta d'ingresso e dipinto di nero per farlo meglio risaltare, e tre iscrizioni in lingua araba che recitano rispettivamente:


-Il sultano Yazīd, la misericordia di Dio sia sopra di lui
-ŠeyḫʽĀdī, la misericordia di Dio sia sopra di lui
-Hāği ibn Ismāʽīl, la benedizione è inscritta sulla sua porta, perciò entravi in pace


Dalla porta d'ingresso si accede al corpo principale del tempio, che è una sala rettangolare divisa in due navate da un colonnato, e illuminata da una fila di nicchie situate sulla parete a sud. Situate nella navata a sinistra dell'ingresso vi sono due tombe. Dalle navate si raggiungono tre porte, che conducono in tre locali diversi: uno è un semplice magazzino, un altro è un'ulteriore sala rettangolare, più piccola della principale ma sempre divisa in due navate, e il terzo è il sancta sanctorum. Quest'ultimo appare buio e disadorno, quasi completamente vuoto ad eccezione della tomba dello Sheikh Adi Ibn Mustafa, sempre ricoperta da un panneggio rosso.
Abbiamo dunque tre iscrizioni e tre tombe, una delle quali è senz'altro di Adi. Ci sono forti probabilità che le prime due tombe presenti all'ingresso siano dunque attribuite allo Yezid di cui parlavamo sopra (il primo fondatore Yazid Ibn Unaysah a cui è attribuita la stesura della Jilwah), e all'Ismail responsabile dell'eresia islamica dell'ottavo secolo (Ismail Abi Jafar). Nella camera adiacente al sancta sanctorum vi è un'altra fonte, detta fonte Zemzem, anch'essa alimentata da una ulteriore sorgente naturale, che gli Yezidi credono sia stata fatta sgorgare da Adi, e che ha un valore analogo ad una sorta di fonte battesimale. Gli storici Bachinann, Luke e Furlani ravvisano nella forma, nel posizionamento e nelle peculiarità di questo tempio gli stessi elementi e gli stessi schemi ricorrenti nelle chiese cristiane nestoriane (comunemente edificate in quell'area nel periodo tra il 381 e il 451, sotto il vescovo Nestorio di Costantinopoli), che invariabilmente venivano costruite sopra le fondamenta dei templi pagani distrutti.


PICCOLI TEMPLI E LUOGHI DI CULTO MINORI:

Generalmente semplici e poco illuminati, hanno spesso porte basse, che costringono ad abbassare il capo per poter essere varcate: gli Yezidi pensano infatti che l'umiltà sia un valore che va ricordato, e dimostrato con gesti di sottomissione. E' frequente la presenza di raffigurazioni del cielo sui soffitti: questo elemento è ricorrente nello Zoroastrismo e così com'era si è tramandato nello Yazidismo.

 

SACRIFICI:

Ogni anno a Lalish, per la festa di Sheikh Adi, tutti gli Yezidi che hanno modo di recarsi alla valle sacra si radunano, si lavano, si purificano, rendono omaggio agli esponenti del loro clero e poi si accampano divisi per tribù. Poi ogni tribù sacrifica una pecora: uno la sgozza, e tutti i presenti attorno si protendono e ne lacerano la carcassa con le mani. Non lontano dal santuario di Lalish sorge il tempio di Sheih Samms Ad Din, molto più piccolo, ma sormontato da una spira sopraelevata, sulla quale vengono fatti camminare i buoi bianchi destinati al sacrificio. Questo accade durante le feste solenni. Le vittime sacrificali vengono sgozzate. Anche durante la grande festa di Sheih Samms Ad Din si sgozzano pecore: sette per Melekh Ta'us, e una per Melekh Isa. Melekh Isa è Gesù Cristo.


PROFETI E SANTI:

Gli Yezidi riconoscono l'esistenza di un numero abnorme di profeti: dicono che ne esistano ben centoventiquattromila. Il primo profeta è Adamo, altri stimatissimi profeti sono Maometto e Gesù Cristo, che chiamano ''luce di dio'' oppure Melekh Isa, che significa 'grande angelo'. Hanno anche un buon numero di santi, intesi allo stesso modo in cui si intende la parola santo nel cristianesimo: il profeta e fondatore Adi è il loro santo più importante. Un altro santo molto gettonato soprattutto tra gli Yezidi Armeni è San Sergio, che loro chiamano Hudur Nabi.


LA FESTA DI CAPODANNO E I DEFUNTI:

Gli Yezidi festeggiano il capodanno (sarsal) nel mese di Nisan: questa è una chiara influenza ebraica. Nel calendario ebraico il mese di Nisan, che cade tra marzo e aprile, corrisponde infatti al capodanno religioso. Gli Yezidi celebrano il Sarsal nel primo mercoledì di Nisan (come gli ebrei) tranne che negli anni in cui quel giorno sia un venerdì nel calendario mussulmano: in questo caso traslano la festa al mercoledì della settimana successiva. Tutti loro in questa occasione comprano carne, oppure sgozzano agnelli o galline, ne benedicono le carni e le portano in offerta ai morti.  Dopo che i morti hanno avuto agio di usufruirne, essi passano a ritirarle e le donano ai poveri.  Presso gli Assiri e i Babilonesi il capodanno, detto Zagmuk, coincideva con il giorno dell'anno in cui il Re distribuiva, revocava o confermava l'amministrazione dei vari distretti ai Governatori. Questo elemento è l'unico retaggio assiro-babilonese che si sia trasmesso agli Yezidi, che nella ricorrenza del Sarsal celebrano la stessa dinamica di distribuzione dell'amministrazione dei distretti terresti, attribuendola però a dio: essi sono fermamente convinti che una volta l'anno, dio assegni il comando del mondo ad un suo sottoposto, il  quale potrebbe decidere di inviare castighi e pestilenze qualora trovasse gli umani carenti di bontà e di virtù, nonché scatenare la furia delle schiere dell'oltretomba contro i viventi. Per questa ragione nel Sarsal hanno cura di benedire e di blandire i defunti, e di compiere atti di carità verso i poveri.


BATTESIMO:

Il pedobattesimo è pratica ormai consolidata. Preferibilmente immergono i loro bambini nella fonte Zemzem, al santuario di Lalish, recitando la frase: sei diventato una pecora di Yazid, del capo della setta, o Yazid!


ESTREMA UNZIONE:

Come nel cristianesimo, anche presso gli Yezidi è in vigore l'usanza di ungere il viso o la bocca dei malati gravi e dei moribondi, solo che qui non si adopera olio, ma il fango proveniente dalla valle sacra di Sheikh Adi: per questo uso, nella prima corte del santuario di Lalish è conservata una scorta di pallette d'argilla che si dice siano state scavate dalla tomba di Adi.


MATRIMONIO:

Strettamente endogamici, non si congiungono con persone non Yezide. Per quanto siano notoriamente pacifici, pare che nel caso che una delle loro donne si ribelli a questo per unirsi ad uno straniero, la pena sia la lapidazione. Generalmente monogami, ammettono però la poligamia dei propri capi religiosi. Per la celebrazione delle nozze gli Yezidi si avvalgono senza problemi delle chiese cristiane, rendono omaggio ai sacerdoti baciando loro le mani e partecipano attivamente alla liturgia.


EUCARISTIA:

Gli Yezidi hanno un grande rispetto per il Cristo: sostengono che egli era un grande angelo capace di assumere forma umana, e che alla fine dei tempi tornerà sulla terra assieme al loro dio. Negano la crocifissione ma tengono in conto il segno della croce, in quanto lo ritengono un buon incantesimo. Quando presenziano a cerimonie cristiane ricevono l'eucaristia con molta devozione, e assumendola nelle due specie fanno molta attenzione a bere tutto, avendo cura di non disperderne neanche una gocciolina. Alcune comunità Yezide hanno sviluppato una loro liturgia eucaristica: nel villaggio di Haltar, ad esempio, ogni mattina usano celebrare un pasto comunitario, durante il quale il sacerdote innalza una coppa di vino davanti ad un'assemblea. A quel punto uno dei fedeli domanda: Che cosa è questo? E il sacerdote risponde: è la coppa di Gesù, qui riposa Gesù.  Dopodiché la coppa fa il giro dell'assemblea e tutti bevono un piccolo sorso. Esiste almeno un'altra versione dello stesso rituale comunitario, non largamente diffusa ma senz'altro documentata, che prevede che si beva da una rappresentazione del Pavone opportunamente costruita per essere cava all'interno e dotata di due fori, uno sulla schiena e uno sul becco, così da consentire che il manufatto sia riempito d'acqua: tutti i presenti cantano, mentre l'officiante bacia il simulacro alla base e poi in altri punti fino a giungere al becco, da cui beve; dopodiché tutti i presenti in assemblea si alzano e vanno a bere allo stesso modo. Questa cerimonia pare riunire gli elementi eucaristici con quelli della tradizionale devozione al sangaq (quello strano stendardo metallico a metà tra un ostensorio e un pavone, che non sembra un pavone ma che somiglia tanto ad un gallo).

 

TESTI SACRI:

I testi sacri degli Yezidi sono due, il Libro Nero e il Libro della Rivelazione. Il Libro Nero corrisponde al loro antico testamento, e contiene la storia della creazione (narrata in due punti diversi dell'opera, in due versioni diverse), la storia di Adi, la storia di Adamo e tutti gli interdetti a cui devono attenersi gli Yezidi. Il Libro della Rivelazione corrisponde al loro nuovo testamento, ed è composto di una introduzione, dove si puntualizza che il Dio menzionato nel libro è il Pavone, e di cinque brevi capitoli enunciati come un monologo in prima persona: questo testo è l'Al Jilwah. Leggendo l'Al Jilwah, la prima cosa che salta all'occhio è l'evidentissima contraddizione tra ciò che gli Yezidi sostengono strenuamente riguardo l'unica natura divina dell'unico dio (e la non-divinità dei Melekh), e l'affermazione di essere l'unico dio che qui è attribuita a Melekh Ta'Us. Proseguendo, si ravvisa in più punti una ferma dissociazione da mussulmani, ebrei e cristiani (apertamente citati e tra l'altro definiti 'coloro che non sanno' oppure, nelle versioni più letterali, 'coloro che sono senza') nonostante sia un fatto oggettivo che gli Yezidi, come abbiamo visto ampiamente, non si facciano scrupolo a celebrare la loro religione in un caos sincretico che abbraccia vistosamente tutti i monoteismi yahwehiani. Infine ,un Satanista Risvegliato non potrà non notare che in questo testo vi sono molti punti effettivamente riconducibili a Verità Sataniche, e moltissimi altri notevolmente incrostati di evidente monoteismo. Di seguito, ecco il testo che oggi è giunto fino a noi come Al Jilwah:



Capitolo I

Ero, e sono adesso, e non avrò fine. Esercito dominio su tutte le creature e gli affari di tutti quelli che sono sotto la protezione della mia immagine. Sono sempre presente per aiutare tutti coloro che credono in me e mi chiamano nel momento del bisogno. Non c’è un posto nell’universo che non conosca la mia presenza. Partecipo in tutte le cose che coloro che non sanno definiscono malvagie, solo perché la loro natura non è come essi l’approvano. Ogni età ha il suo capo, che dirige le cose secondo i miei voleri. Questo compito è modificabile di generazione in generazione, così che il governatore di questo mondo ed i suoi capi possano scaricare il peso dei loro rispettivi doveri, ognuno al proprio turno. Permetto a tutti di seguire la loro natura, ma coloro che si opporranno a me, se ne pentiranno amaramente. Nessun dio ha diritto di interferire con i miei affari, ed ho stabilito una regola imperativa affinché chiunque debba evitare di adorare altri dei. Tutti i libri di coloro che non sanno sono stati alterati da loro stessi; e loro lo hanno negato, in quanto furono scritti dai profeti e dagli apostoli. Che ci siano varie interpretazioni è evidente nel fatto che ogni setta cerca di provare che gli altri si sbagliano, e distruggere i loro libri. Conosco verità e falsità. Quando giunge la tentazione, io fornisco i miei collaboratori a colui che crede in me. Inoltre, do consiglio ai direttori che io ho nominato per periodi di tempo a me conosciuti. Ricordo gli affari necessari e li eseguo per tempo. Insegno e guido coloro che seguono le mie istruzioni. Se qualcuno si conforma ai miei comandamenti, avrà gioia, piacere e conforto.

Capitolo II

Io ricompenso i discendenti di Adamo con varie ricompense che solamente io conosco. Inoltre, il potere ed il dominio di tutto ciò che è in terra, sia esso sopra o sotto di essa, è nelle mie mani. Non permetto associazioni amichevoli con altre persone, ma non privo coloro che sono miei e mi obbediscono di nessuna cosa che sia buona per loro. Io metto i miei affari nelle mani di coloro che ho potuto testare e che sono d’accordo con i miei desideri. Appaio in diverse maniere a coloro che sono fedeli e sotto il mio comando. Io do e tolgo; arricchisco e impoverisco; causo sia felicità che miseria. Faccio tutto questo secondo le caratteristiche di ogni epoca. E nessuno ha il diritto di interferire con la mia gestione delle cose. Coloro che si opporranno a me saranno afflitti da malattie; ma i miei non moriranno come i figli di Adamo – coloro che non sanno. Nessuno vivrà in questo mondo più a lungo di quanto io ho stabilito; e se lo desidero, invierò una persona una seconda o terza volta in questo mondo, o in qualche altro mondo, attraverso la trasmigrazione delle anime.

Capitolo III

Io porto alla retta via, senza un libro rivelato; dirigo i miei amati e prescelti in maniere non evidenti. Tutti i miei insegnamenti sono facilmente applicabili a tutti i tempi e tutte le condizioni. Punirò in un altro mondo chi contrasterà la mia volontà.Oggi i figli di Adamo non sanno quale stato di cose stia per arrivare. Per questa ragione, cadono in molti errori. Le bestie della terra, gli uccelli del cielo e i pesci del mare sono tutti sotto il controllo delle mie mani. Conosco i tesori e le cose nascoste; e secondo come io lo desideri, posso prenderli da qualcuno e riporli in un altro. Rivelo i miei pensieri a coloro che li cercano, ed al momento giusto i miei miracoli a coloro che li riceveranno da me. Ma coloro che non sanno sono miei avversari, poiché si oppongono a me. Né immaginano che una tale condotta va contro i loro interessi, poiché volontà, salute e ricchezza sono nelle mie mani, ed io le distribuisco su ogni discendente di Adamo in terra per cui ne valga la pena. Questo perché i governi del mondo, il ricambio generazionale, ed il cambio dei loro direttori sono stabiliti da me sin dall’inizio.

Capitolo IV

Non darò i miei diritti ad altri dei. Ho permesso la creazione di quattro sostanze, quattro tempi e quattro angoli, perché queste sono cose necessarie per le creature. Il libro degli Ebrei, Cristiani e Musulmani, cioè di coloro che non sanno, viene accettato solo in un senso, ossia finché loro sono d’accordo e si conformano alle mie leggi. Qualunque cosa sia contraria ad esse, essi la hanno alterata; non accettarla. Tre cose sono contro di me ed io odio tre cose. Ma coloro che manterranno i miei segreti riceveranno appieno le mie promesse. Coloro che soffriranno per mia mano, verranno certamente ricompensati in uno dei mondi. Desidero che i miei seguaci siano uniti, perché coloro che non sanno non prevalgano su di loro. Ora, adesso, tutti coloro che avranno seguito i miei comandamenti ed i miei insegnamenti, rifiutino tutti gli insegnamenti e le parole di coloro che non sanno. Non ho insegnato io queste cose, né provengono da me. Non menzionare il mio nome né le mie caratteristiche, in caso potessi pentirtene; poiché non sappiamo cosa potrebbero fare coloro che non sanno.

Capitolo V

Voi che credete in me, onorate il mio simbolo e la mia immagine, perché vi ricorderanno di me. Osservate le mie leggi e le mie regole. Obbedite ai miei servitori ed ascoltate qualunque cosa che possano dirvi al riguardo delle cose nascoste. Ricevete ciò che viene detto, e non riportatelo a coloro che non sanno, Ebrei, Cristiani, Musulmani ed altri; questo perché loro non conoscono la natura dei miei insegnamenti. Non date loro i vostri libri, potrebbero alterarli senza che voi lo sappiate. Imparate con il cuore la maggior parte di essi, in caso vengano alterati.

 

Giunti a questo punto sarebbe opportuna un'accurata esegesi del testo, che però non eseguirò, perché disponiamo già dell'analisi eseguita magistralmente da Mandy Lord: vi invito a dare un'occhiata alla Lettura Guidata dell'Al Jilwah. Non possiamo sapere con certezza se tra le righe dell'Al Jilwah traspaia effettivamente un messaggio reale, diretto e intenzionale da parte di Satana: forse il messaggio ci appare a tratti Satanico solo perché noi sappiamo, dunque ravvisiamo elementi del nostro Dio nella descrizione generica del divino? O il Dio potrebbe aver ispirato qualcuno a inserire alcune Verità in seno ad un testo che avrebbe dovuto avere altra destinazione? Oppure, ancora più logicamente, questo Al Jilwah potrebbe essere quello che resta di un testo ancora più antico, effettivamente e realmente Satanico, che sia stato ereditato frammentariamente, e contestualmente adattato e distorto da chi lo ha ereditato? Senz'altro concordo con Mandy quando afferma:

 

''...è come se il destino avesse sconfitto fin dove serviva, le possibili alterazioni a cui sarebbe andato incontro. Contiene delle “tracce” che anche personalmente riconosco nella loro generica forma rivelatrice. Solo quelle tracce infatti, possono essere attribuite alle parole del vero Satana [...]Che si legga quindi il testo in questione con mente adeguata e in modo quasi formale, pensando semplicemente che una delle molteplici forme di Satana e delle sue parole nel tempo e nello spazio, sono passate anche per un popolo chiamato Yezidi.''


Indubbiamente, analizzando Al Jilwah e Resh alla luce di quanto appreso finora, si ha la netta impressione che solo Resh sia un testo puramente Yezida, e che Al Jilwah sia invece una sorta di acquisizione debitamente riscritta, che ancora conserva tracce del precedente contesto in cui sia stato prodotto. A questo proposito, quello che intendo fare qui è analizzare esternamente l'opera Al Jilwah sulla base dei dati raccolti dagli storici:  entrambi i testi sacri Yezidi presentano una versione araba e una versione curda; il libro della Rivelazione (Kitab Al Jilwah) viene fatto risalire al 1162 e il Libro Nero (Mashaf-i Resh) al 1343 dell'era volgare. La prima versione inglese dell'Al Jilwah basata su traduzione della versione araba, è comparsa nel mondo occidentale nel 1895, a cura di O.H Party all'interno della sua opera Six Months in a Syran Monastery, e poi successivamente il testo arabo integrale, corredato di versione inglese a cura di Isya Joseph è stato pubblicato sull' American Journal of Semitic Languages and Literatures: il testo di cui disponiamo oggi e che appare riportato sui vari siti e portali è fedelmente ancora questo stesso che fu pubblicato da questi studiosi. Al Jilwah è stato tradotto, pubblicato e analizzato più volte nel corso degli anni: estremamente significativo il lavoro di M. Bittner che, a inizio novecento, propose un'edizione scientifica per l'Accademia di Vienna, comparando la versione araba e quella curda ed eseguendo un'analisi accurata degli elementi linguistici: dall'analisi del Bittner emerge che la lingua curda dei testi sacri non è il curdo attuale, ma un dialetto curdo medievale, pesantemente influenzato da elementi linguistici arabi. Questo dettaglio, unito ad alcuni elementi narrativi presenti nel testo che non possono essere ricondotti ad altro che alla parte araba delle origini Yezide, fanno ragionevolmente presupporre che sia esistita una stesura precedente a quella ufficiale, in lingua araba, che non è la versione araba attuale – la quale è invece semplicemente una versione dal curdo
Questa analisi apre la possibilità che l'attuale Al Jilwah non sia affatto la stesura originale, e che in un passato molto remoto sia esistita una prima stesura che non è questa di cui disponiamo oggi
Riprendendo il lavoro del Bittner, G. Furlani analizza a sua volta gli elementi linguistici, riconfermando l'ipotesi:


''La lingua del testo curdo è un buono e antico dialetto curdo che presenta strette affinità colla lingua della tribù curda dei Mukrī. Esso non è più parlato neppure dai Yezidi stessi e perciò il testo dei due libri presenta grande interesse anche per il filologo studioso dei dialetti del Kurdistān. Questi testi sono scritti in un alfabeto del tutto particolare, che fino alla loro scoperta (copie di essi furono fatte da un Yezido fedifrago per il p. Anastase) era affatto sconosciuto, ma che sembra esser stato in uso per scrivere qualche dialetto curdo della regione. Al giorno d’oggi la scrittura è da riguardare come crittica. L’inventore di questo alfabeto ha preso per modello l’alfabeto arabo–persiano. Da varie peculiarità dell’ortografia delle parole risulta in modo indubbio che il testo fu scritto prima con lettere arabo–persiane e che soltanto più tardi fu traslitterato in questa nuova scrittura crittica.''


Se andiamo a verificare quale sia l'esatta posizione geografica dei Mukri, li troviamo inequivocabilmente collocati nella zona che coincide con il nucleo primitivo dell'antica Persia, e i dati storici ci mostrano come già tra il 224 e il 651 dell'era volgare, la Persia Sasanide si fosse estesa ed espansa in seno alla penisola arabica. Nella cartina sotto possiamo vedere l'espansione Sasanide, cerchiata in rosso è evidenziata l'area dei Mukri. CARTINA 3

L'anno dell'egira islamica è il 622 dell'era volgare, l'espansione militare dell'Islam inizia solo a partire dal 632, sotto il califfo Abu Bakr, e per diverso tempo restano ancora presenti molte 'sacche' di paganesimo incontaminato in seno alle zone più isolate ed impervie della penisola Araba: appare dunque non solo tecnicamente possibile, ma estremamente probabile che i Mukri possano essere venuti in contatto con elementi originariamente Arabi. Riguardo le trascrizioni in curdo medievale, il Furlani afferma:


'' Nel caso presente siamo d’avviso che la circostanza che il dialetto curdo in cui sono redatti i due libri è un dialetto antico, conservante forme risalenti al medioevo, le quali si possono spiegare soltanto confrontandole con altre forme affini dei dialetti odierni, e d’altro canto la considerazione che nessun indigeno o Orientale sarebbe in grado di scrivere un testo in questo dialetto, per la cui comprensione è necessario lo studio intenso di libri orientalistica europei, del tutto inaccessibili a un Orientale non istruito, dimostra in modo superiore ad ogni dubbio che i testi non possono esser stati tradotti in curdo nel secolo passato. Essi sono dunque più antichi. Che risalgono però proprio al tempo cui i Yezidi vorrebbero farli risalire credo di poter escludere senz’altro.''


Alla luce di tutto questo ci troviamo dunque  di fronte ad un testo (anzi, due testi) la cui versione attuale deriva da una stesura posteriore al 1162 e.v, la quale abbiamo buona ragione di ipotizzare sia un rimaneggiamento di una versione precedente e molto più antica, vergata in arabo arcaico. Se la ricostruzione è corretta, si potrebbe dunque prendere in considerazione l’eventualità  che l'Al Jilwah originale sia giunto in Persia dalla penisola Araba, ivi riscritto e tradotto in dialetto Mukri, e poi successivamente in Curdo e infine, dal Curdo, in Arabo moderno. E ha tremendamente senso. Perché nella penisola Araba, prima dell'Islam c'era il Culto degli Dei, c'erano Allat, Al-Uzza e Manat , le tre sublimi Gru che ci mostrano ancora una volta la formidabile evidenza dell'Origine comune, descritta in una Madre triplice, potente, guerriera e giusta, e c'erano i Grandi Dei che camminavano insieme agli uomini.
Non mi stupirei se la parte di Verità Satanica che vediamo ancora oggi risplendere tra le parole dell'Al Jilwah provenisse da questo tempo, da questi luoghi, e fosse sopravvissuta frammentandosi tra le pagine della  Storia Yezida.

 

 IL PAVONE DI SATANA:

Lo ammetto, io mi ero affezionata al Pavone, e prima di approfondire tutto questo ero davvero convinta che in seno a questa cultura avrei visto risplendere il Dio. Ad un certo punto mi sono dovuta rassegnare, e prendere atto che di fatto questo Melekh Ta'Us di Satanico ha solo la valenza affettiva e romantica di una leggenda, al pari della figura del Lucifero nella fantasia popolare: non nego che inizialmente mi sono sentita molto delusa. Poi però mi sono soffermata un attimo a chiedermi come mai tanti di noi percepiscono istintivamente Satanica l'immagine del Pavone, e a quel punto è stato sufficiente anche solo iniziare a cercare per rendermi subito conto che il motivo è assai semplice: effettivamente, il Pavone è davvero Satanico. Il colore dominante del suo piumaggio, l'iridescenza che lo pervade, la ciclicità delle sue mute e la moltitudine di occhi, che come stelle punteggiano l'arco della sua ruota, già basterebbero a giustificare la sua bellezza Satanica, come se in un certo senso la sua immagine collegasse, alla maniera di un Sigillo ancestrale, elementi dell'Origine presenti in ogni parte del Mondo: e all'improvviso non appare più così strano accettare di annoverare tra le immagini del Dio anche questo archetipo che è un altro modo per dire Lucifero. Di fronte al Pavone per un istante abbandono l'analisi razionale, smetto di riordinare le cause e gli effetti, e semplicemente contemplo Satana oltre il tempo e lo spazio, il Serpente Piumato che si mostra in magnificenza, tracciando vie oblique che prescindono dalle leggi del dogma, dispiegando l'Iridescenza oltre ogni confine che il pensiero umano possa tracciare. E da qui riparto seguendo il Pavone, ovunque mi voglia portare.

 

IL PAVONE NELL'INDUISMO

Saraswati, Colei che Scorre, e anche Colei che è Ricca d'Acqua, appare nei Rig-Veda come un fiume le cui acque hanno il potere di creare. Nei Vedanta è descritta come Shakti di Brahma, e descritta come figlia e allo stesso tempo consorte del Creatore. Dea dell'arte, della scienza, della parola e dell'eloquenza, si dice che abbia creato lei stessa la lingua Sanscrita. Ancora più di questo, Saraswati  è la Dea della Conoscenza e della Saggezza: come paredra di Brahma, Ella personifica l'inestimabile Conoscenza Divina. Saraswati è frequentemente raffigurata nell'atto di cavalcare un magnifico e gigantesco Pavone.

Indra è il signore della Folgore, della Magia e delle Tempeste. Egli è uno dei più grandi Deva del Sanatanadharma, in molti inni dedicati a Lui nei Rig Veda è nominato come il più grande tra tutti gli Dei. Egli è un grande incantatore ed un grande guerriero, porta con sé una formidabile potenza distruttiva unita ad una sconfinata saggezza. Combatte con valore e coraggio, conducendo un carro trainato da due cavalli mentre brandisce una Vajra a simboleggiare la potenza del fulmine. Indra ha un suo uguale e contrario, il serpente Vrtra che in principio conteneva l'intero universo: è Vrtra stesso che chiede a Indra di prevalere, distruggendo la fortezza inespugnabile che la sua stretta costituisce. Così Indra sceglie di spezzare la stasi e fendere l'oscurità, permettendo ad ogni cosa di fuoriuscire, il Sole, la Luna, l'Acqua e le Vacche, e Usas, che è il nome dell'Aurora, e tutte le stelle del cielo. Indra è raffigurato abitualmente in forma umana ed è descritto come particolarmente alto, chiaro di capelli e di barba e con un turbante sopra la testa; frequentemente è rappresentato nell'atto di cavalcare un elefante bianco. Alcuni sostengono che Egli possa manifestarsi in forma animale, e in questo caso la forma che assume è quella di un meraviglioso Pavone.

Skanda, conosciuto altrimenti come Karttikeya, è una Divinità molto antica dei Veda. Figlio di Shiva e Parvati e fratello di Ganesha, è un Dio della Guerra votato al bene e alla giustizia. Sempre descritto come molto avvenente e per sempre giovane, talvolta viene rappresentato con sei teste, a simboleggiare la sua capacità di vedere in tutte le direzioni. Spesso è raffigurato nell'atto di cavalcare un Pavone. In mano regge uno stendardo che presenta l'emblema di un gallo, e a tal proposito vi è una strana leggenda: alcuni narrano che la sua cavalcatura-pavone sia stata un essere demoniaco di nome Surapadma, contro la quale Skanda combatté. Surapadma, vinto da Skanda si pentì prima di essere ucciso e si tramutò in albero. Skanda divise dunque l'albero in due metà, da una delle quali trasse il Pavone che diventò il suo destriero, e dall'altra trasse Krichi, l'essere angelico che ha l'aspetto di un Gallo, e oggi appare raffigurato sul suo stendardo. La presenza di concetti come angelico\demoniaco fa presupporre che la leggenda non sia antica quanto Skanda stesso, tuttavia mostra una possibile liaison tra questa divinità e le forme più antiche di Zoroastrismo. Al momento non mi è possibile determinare se la leggenda sia nata attorno a Skanda dopo l'inizio dello Zoroastrismo, o se sia la leggenda stessa ad esserne stata un immediato precursore, tuttavia è innegabile che si tratti di un elemento da non trascurare, in sede di approfondimento mirato alla genesi e all'evoluzione delle religioni iraniche.

Visnu è il Signore dei Mondi, di Lui si parla nei Veda già da millecinquecento anni prima dell'era volgare. Egli ha il potere di distruggere, eppure protegge il mondo terreno e tutta l'intera realtà del Dharma. Viene raffigurato con la pelle blu, perché la sua natura è eterea e celestiale, e con quattro braccia, in ciascuna delle quali regge uno dei suoi quattro simboli: il Disco, che simboleggia il Sole, la Mazza, che è la sua arma, la Conchiglia, soffiando nella quale Egli crea il suono che disperde gli spiriti malevoli, e il Loto, che indica il rango di Divinità Solare. Visnu ha moltissimi appellativi e moltissimi avatar: il suo ottavo avatar è Krishna, e in questa Manifestazione Egli cavalca una Vacca Bianca. Sul capo ha una corona ornata di piume di pavone, e un Pavone è raffigurato al suo fianco a simboleggiare l'Immortalità.

DAL PANTHEON ASSIRO AI GRIMORI:

Gli Assiro-Babilonesi conoscevano e onoravano una Divinità chiamata Adrammelech. Egli è lo stesso Adrammelech che alcuni Satanisti conoscono, che come tutte le Divinità onorate dagli Avi è stato poi aspramente calunniato dai Monoteisti. L'origine del suo Nome potrebbe essere da ricercarsi nelle parole Addir-Melek (che significano letteralmente Maestoso Re), oppure potrebbe derivare da Adad-Melek, che significa Hadad è il Re. Hadad è una Divinità conosciuta in tutta l'area mesopotamica, insignito del titolo di Ba'al (Signore) e Aliyan (Supremo) dagli Aramei, dai Siri, dagli Ugariti e dai Sumeri. Egli è il figlio di Enlil, ed è capace di scatenare tempeste e comandare fulmini e tuoni, ma anche incline a donare dolci piogge portatrici di raccolti abbondanti. Oggi di Lui si sa purtroppo assai poco. La calunnia talmudica è filtrata in alcuni grimori generando immagini molto più che distorte: c'è una menzione di Lui nel Dictionnaire Infernal, che di certo non gli rende onore e che preferirei non citare affatto. Tuttavia, nonostante questo dettaglio appaia solo e soltanto nel Dictionnarie Infernel, e non ve ne sia traccia nelle informazioni giunte fino a noi dagli antichi culti, non posso esimermi dal riportare che in questo grimorio si attribuisce al Dio Adrammelech l'aspetto del Pavone. Adrammelech non è l'unico Dio ad essere associato al Pavone nei grimori: per quanto io detesti profondamente questi testi, è doveroso completare l'analisi e osservare come nella Clavicula Salomonis, il Dio Andrealphus sia descritto con queste parole:


Il Sessantacinquesimo Spirito è Andrealphus. È un potente Marchese, che appare dapprima sotto forma di un Pavone, con grande clamore. Ma dopo un po' assume forma umana. Può insegnare perfettamente la geometria e ogni cosa relativa alle misurazioni o all'astronomia. Può trasformare un uomo nelle sembianze di un uccello. Non ho dati a mia disposizione per dire se sia vero o meno che il Dio Andrealphus possa apparire davvero in forma di Pavone. Oggi, dalla testimonianza di altri Satanisti Spirituali, sappiamo che Andrealphus ama le candele argentate, i fiori di loto, le rane, il nickel e l'argento, i suoi giorni di massimo splendore ricorrono tra il 9 e il 13 di Febbraio, ed è un grande scienziato ed un valente insegnante.


IL PAVONE NEI CULTI GRECO E ROMANO:


Hera, consorte di Zeus, figlia di Crono e di Rea, fu una delle Dee più amate nel Pantheon della Grecia antica: Ella proteggeva l'amore sponsale, la fedeltà coniugale e il parto. I suoi animali sacri erano la Vacca e il Pavone. Il Pavone era considerato rappresentazione dello splendore del cielo stellato, e il dispiegarsi della magnifica ruota veniva guardato con devozione, perché gli Antichi Greci vedevano in tanta bellezza il manifestarsi della Dea Hera. Definivano questo uccello 'il volto stesso di Hera', e dicevano che fu Hera stessa a disporre che fosse dato il nome del Pavone ad una costellazione.

Giunone, figlia di Opi e Saturno, presso gli Antichi Romani era protettrice del Matrimonio e del Parto. Assai simile a Hera, col procedere dei tempi fu  dichiaratamente sincretizzata con la Dea Greca, di conseguenza nominata sposa di Giove e venerata più di ogni altra Dea dell'intero Pantheon Romano. Giunone viene spesso rappresentata nell'atto di allattare e il suo patrocinio consiste prevalentemente nell'amorevole cura, non solo della madri e dei bimbi, ma anche di tutti gli animali. Tra tutti, l'animale che era più sacro alla Dea era proprio il Pavone. Gli Antichi Romani tenevano questo animale in gran conto, non solo perché era sacro a Giunone, ma anche perché ritenevano che i Pavoni avessero la facoltà di accompagnare le Anime da qui verso l'Oltre, in particolare le Anime delle Imperatrici


CONCLUSIONI

Qui termina questo lungo viaggio riassunto in poche parole, da Zoroastro a Visnu, da Lalish all'Antica Roma, sorvolando a volo radente l'impenetrabile struttura Yezida, svelandone i sincretismi e le contraddizioni, indicando le vie che mostrano i Veri Dei, e rivelando le eredità preziose degli Antenati delle Terre d'Arabia. A condurci nel viaggio è stato il Pavone, archetipo di Lucifero e cavalcatura di Saraswati, Colei che è Conoscenza e Saggezza. Qualsiasi cosa possano aver fatto o possano fare alla Verità coloro che sono senza, noi ritroveremo sempre la realtà di Satana, perché noi conosciamo la vera natura dei suoi insegnamenti.
Onore al Dio.

 

Kate Ecdysis

Anno MMXIX 

 

BREVE NOTA BIBLIOGRAFICA:

Riporto qui una breve lista di nomi e opere tramite cui coloro che lo desiderano (specialmente tutti quelli che faticano a distaccarsi dall'Al Jilwah come verità satanica assoluta) potranno personalmente verificare che non ho inventato niente.

G. Furlani, Gli Adoratori del Pavone

S. Giamil, Monte Singar. Storia di un popolo ignoto

G. Gabriele, Il nome proprio arabo musulmano

A. Mingana, Devil–worshippers: their beliefs and their sacred books

A. H. Layard, Nineveh and its remains: with an account of a visit to the Chaldaean Christians of Kurdistan

N. Siouffi, Notice sur le chéikh ‘Adi et la secte des Yézidis

J. W. Crowfoot, A Yezidi rite

M. Bittner, Die heiligen Bücher der Jeziden oder Teufelsanbeter (kurdisch und arabisch)

 

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